Dodi: ironia e leggerezza
Salire da un piano all'altro della Casa di Masaccio, passare da una sezione all'altra della mostra, non è solo fare un viaggio nel tempo, tra due epoche storiche diverse, anche se contigue (di quella contiguità naturale che unisce due generazioni successive). Vuol dire anche cambiare prospettiva, visione del mondo: quasi un'ascesa verso la leggerezza. E' una leggerezza fisica, materiale: basta prendere in mano e sollevare una delle statue di Dodi per averne una prova tangibile. La corporeità, il volume, sfumano e si annullano; il peso sembra scomparire, trasformarsi nel suo contrario. Ma è anche una leggerezza psicologica, morale. Il mondo sereno, classico, del padre, non c'è più. La guerra ha chiuso un ciclo di certezze. La situazione storica che ne nasce è comunque diversa. C'è chi la ha vista in modo drammatico. Non è questo il punto di vista di Dodi. Il suo occhio sulla realtà muove dalla prospettiva dell'ironia. Un'íronía leggera, spesso allegra, in cui esseri umani e animali, senza profonde differenze tra loro, come nella migliore tradizione della satira, vivono in un momento magico, quasi colti per caso da un ipotetico viaggio nel paese delle meraviglie. E' questa l'altra faccia della leggerezza; che richiede pazienza, come sa chi ha visto lavorare Dodi e, come diceva Lenin, «la pazienza e l'ironia sono le virtù dei rivoluzionari». E come in ogni vero risultato artistico la pazienza della tecnica, senza cui l'intuizione è muta, si dissolve. Restano le forme, gli sguardi ironici delle figure di Dodi, come se fossero loro a guardare con curiosità leggera noi spettatori, troppo schiacciati dalla pesantezza della nostra realtà. Resta la conquista della leggerezza.