Capitolo 10

Parte Seconda

 

 

 

 

 

 

Il sole, penetrando nella calle stretta e diritta, proiettava le loro ombre sul selciato: due lunghe ombre nere incollate l’una all’altra, immagini sottili stampate sulla pietra che risuonava sotto i loro passi. Nel canale che incrociarono, varcando uno stretto ponte, due donne si stavano parlando dalle opposte rive e le loro voci rimbombavano, rifrangendosi da un muro all’altro. In fondo al canale si profilavano ombre di vaporetti, motoscafi apparivano e scomparivano nella luce azzurrina. I pensieri si stornavano, nel panorama così noto e amico, e le parole non avevano più corpo. Difficile spiegarsi, più difficile ancora ritrovare un significato nei lunghi silenzi che li opprimevano. Meglio guardarsi attorno, cogliere le visioni che non avrebbero potuto ripetersi: gli sposi in gondola, bianchi e neri tra mazzi ordinati di fiori, il sussulto delle vecchie case riflesse nella corrente, la frutta multicolore sulla tolda della barca che portava i rifornimenti.

Il traghetto, malsicuro sull’acqua agitata dagli scafi, arrivava tra i pali ondeggianti e i gradini di legno rivestiti di verde muschio. Al di là del canale la chiesa della Salute apriva una breccia bianca nell’azzurro. Ragazzi con chitarre e flauti suonavano sui gradini, incuranti del freddo. L’età della grande peste era cessata, quando il tempio fu eretto, pietra su pietra, e una miriade di barche portava blocchi squadrati, ornamenti e statue attraverso la lunga distesa del bacino dove ora stavano ormeggiate, grigie, adorne di festoni, con i cannoni incappucciati, tre navi da guerra dalle cui tolde i marinai salutavano agitando i cappelli. Anche Cristina agitò la mano e sorrise, ma il gesto morì subito, il braccio le ricadde in grembo in una improvvisa stanchezza.

Adesso voleva spiegazioni, capire quel che stava accadendo. <<La solita mania di chiarezza>> pensò Bernardo, di fronte al suo sguardo interrogativo. <<Volevo passare giorni belli con te, come sempre capita quando ci si trova in questa città>>, la voce di Cristina echeggiava nitida nell’aria tersa. <<Invece mi sento come un’ospite sgradita e i tuoi silenzi mi fanno sentire un’estranea, come se ti avessi disturbato durante un lavoro. Ma non c’è lavoro questa volta, piuttosto indifferenza e distacco… Continuo a chiedermi se vuoi che rimanga o me ne vada, ma non trovo risposta. Solo buio e ambiguità…>>.

Parlando, Cristina scrutava il suo volto, e Bernardo sentiva l’agitazione crescergli dentro. <<Non so risponderti, ma no perché non voglio. Non capisco neppure io quel che mi sta accadendo. Potrei dirti che non è cambiato nulla, se non questo stato d’animo che mi ha colto qui, potrei dire a tradimento. Mi rendo conto di essere evasivo, e forse ingiusto. Ma potrebbe trattarsi di un malessere passeggero e vorrei che tu mi accettassi così, per ora, con un po’ di pazienza e un po’ di comprensione… Ho un gran bisogno di stare solo, ma nello stesso tempo non vorrei che te ne andassi…>>.

Le contraddizioni si affastellavano, avrebbe voluto rinviare ancora ogni risposta. Meditare. Riuscire ad aprirsi con lei come una volta. Annaspava, incerto, anche in quella luce che metteva in risalto ogni particolare del tempio e della città, senza lasciare angoli oscuri. Non c’era luce, in lui, solo il baluginare dei sogni nell’isola, le visioni furtive e inquietanti che popolavano le sue notti. Il fantasma della peste, anche, evocato sull’altare della chiesa che gli stava alle spalle: una vecchia laida, dagli abiti scomposti, che un angelo paffuto scacciava con la sua innocua tromba brandita come un’arma mentre la Vergine dominava solenne il gruppo marmoreo, con il volto sdegnatamente assente. <<Che si bandisca pubblicamente non esser peste a Venezia>> proclamavano le autorità mentre la morte nera falciava le sue vittime. Anche lui, Bernardo, avrebbe voluto proclamare che la peste non lo aveva contagiato, che tutto si poteva ancora salvare.

Camminarono lentamente attorno alla chiesa, verso la torre in legno del piccolo teatro eretto a pelo dell’acqua. La laguna era un fervido intersecarsi di scafi, le sirene dei vaporetti ululavano nella distanza, verso il verde dei giardini. Tenersi per mano, come faceva la coppia di innamorati davanti a loro, era forse l’atteggiamento che avrebbe potuto aiutarli a superare il groppo che li attanagliava, la stortura che li divideva. Intorno a loro chitarre, flauti e sirene levavano un inno alla speranza. Ma Cristina era sconvolta, ferita a morte dalla solitudine, dal vuoto che leggeva negli occhi vitrei dell’uomo che stava al suo fianco. Una condanna senza remissioni, una pena senza attenuanti. Si era chinata sulla lisa balaustra e il suo volto era immobile. <<Meglio fare i turisti>> disse all’improvviso Bernardo. Il suo sguardo, adesso, era mutato. <<Potremmo goderci la città. Forse ci aiuterà a spiegarci>>. Ma le parole si smorzarono presto. Nella basilica, tra gli ori messi in rilievo dai barbagli di luce che filtravano dalle vetrate, si profilavano nere figure minacciose di angeli e di apostoli, di peccatori nudi e di animali. Era quello il mondo in cui avrebbe voluto annullarsi perché pace ed innocenza erano i suoi segni. Ma forse anche allora, ai tempi dell’opulenza, l’inquietudine faceva tremare la mano agli ignoti artigiani che mettevano, l’una accanto all’altra, le infinite tessere del mosaico, qui come nell’isola. Fosse almeno possibile, per lui, allineare così le parole e, con le parole, rivelare il peso segreto che annullava la sua volontà. Ma la sua mente era chiusa di nuovo, si rifiutava di pensare. E se camminava attraverso la piazza sentiva, alle spalle, gli occhi rotondi e vuoti dei cavalieri di porfido rosso che, nell’angolo della chiesa, guardavano da secoli i passanti.

Prefazione

Introduzione

Parte prima

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3

4

5

6

7

8

9

10

11

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13

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Parte seconda

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13

Epilogo

Indice Ultimo degli Altinati

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