Capitolo 3

Parte Seconda

 

 

 

 

 

 

<<Che furia>> disse Cristina, mentre camminava al suo fianco verso l’approdo. <<Non mi fai neppure dare un’occhiata attorno?>>. <<Ne avrai del tempo, per vedere bene tutto>>. La donna riprendeva, a poco a poco, la sua sicurezza. L’isola, che di notte le era sembrata nemica, un desolato brandello di terra affiorato dalle acque ostili della laguna, ora sfolgorava nel sole e i suoi colori erano quelli della vita. Sfidò, con il volto teso nella luce, gli sguardi ammirati di una comitiva di arabi, che la incrociò. Il ponte del diavolo si specchiava nell’acqua limpida, creando un cerchio perfetto. Anche la motonave, in procinto di partire, rifletteva sulla superficie appena increspata la sagoma dell’alto scafo bianco e nero. Fu, per lei, che stava in piedi sul ponte, come sorvolare la distesa di canne palustri e di orti. Il vento le scompigliava i capelli, si sentiva sana e felice, e si strinse contro il fianco il braccio asciutto di Bernardo. Quell’allegria lo colse impreparato. Era amaro e chiuso in se stesso, ma al tocco della mano di lei lo stato d’animo ostile si sciolse in un batter d’occhio. Quando la motonave toccò terra, tra le case colorate e i panni multicolori stesi attraverso le strette strade, il suo cuore si era aperto alla gioia, come mai gli era accaduto da quando si era lasciato Venezia alle spalle.

La guidò verso il ristorante affollato: voci e vapori si levavano dai tavolini ricoperti da tovaglie a grandi riquadri rossi e bianchi. Sedersi, leggere la carta, bisbigliare gli ordini al cameriere con un lieve tono di sussiego fu, per lui, il ritorno a una vita protetta, un <<andare sul sicuro>>, come era solita dire Cristina. Lo riafferrò, anzi, quella lieve malinconia — una sensazione non sgradita, perché nel fondo solleticava il suo orgoglio — che gli creava il peso degli anni di fronte all’attraente giovinezza di lei. Gli pareva, in quei momenti, che lei gli avesse, nel tempo trascorso insieme, sacrificato qualcosa, non fosse altro che la possibilità di avere un figlio. Si era chiesto, spesso, se Cristina lo desiderasse, e qualche volta ne aveva anche parlato con lei. La donna rispondeva sorridendo. <<Sarebbe bello>> diceva <<ma non sono preparata. Forse non lo voglio, però>>. Rimaneva a lungo pensierosa. La bocca si stringeva, quasi un segno di dolore represso, e gli occhi, spalancati, sembravano non vedere nulla, nemmeno il volto di lui che la interrogava. <<C’è il lavoro, in primo luogo>> diceva all’improvviso. <<E poi non voglio la maternità-alibi dietro la quale nascondere i miei problemi>>. Si ritirava nel suo studio e poco dopo, come uno scroscio di pioggia benefica, gli giungeva il tichettio della macchina per scrivere. Se si affacciava, intenerito, sulla soglia, la vedeva china sui tasti. Ogni tanto, nelle pause della scrittura, quando le si presentava una frase difficile da tradurre, guardava fissa davanti a sé, intrecciando le dita. Ma il suo volto non era più aggrottato. Se girava la testa verso di lui, gli sorrideva, e sporgeva le labbra per chiedergli un bacio. Poi le dita correvano di nuovo, rapidissime, sui tasti.

Aveva cominciato a lavorare giovanissima, e veniva da dure esperienze. I suoi tentativi d’insegnare si erano presto arenati di fronte alla burocrazia della scuola, e alla spietata concorrenza di altri giovani che le erano stati compagni. Era stata costretta a ripiegare sull’ingrato ruolo dell’impiegata volante, priva d’ogni garanzia, e le sue spalle si erano un poco incurvate mentre, nello studio d’un legale di pochi scrupoli, che passava più volentieri le sue ore nei bar che nelle aule del tribunale, batteva interminabili e noiose relazioni costellate di nomi sconosciuti e di alienanti articoli di legge. Vivere, ora, anche se marginalmente, nel mondo amato della letteratura, veder crescere dal rullo nero della macchina le righe fitte e precise delle traduzioni, che si sarebbero poi trasformate in libri nei quali appariva anche il suo nome, era una consolazione che le sembrava un giusto risarcimento dei torti subiti, delle frustrazioni che aveva dovuto sopportare quando aveva lasciato i genitori ed era andata ad abitare in un’altra città.

Bernardo seguiva con rispetto quei suoi tentativi, e anche se talvolta lo irritava la cocciutaggine con cui riscriveva più volte una frase (<<per quel che ti pagano>>, le diceva) doveva ammettere che quel che usciva da lei aveva, quasi sempre, il segno di una grazia — la capacità di esprimersi — che si esprimeva in risultati senza pecche. Erano quelli i figli di Cristina, almeno per ora, nati anche loro dal rapporto così intenso, dal nuovo mestiere che lei aveva intrapreso quando aveva acquistato una maggior sicurezza di se stessa.

I suoi, di figli, ormai grandi, così spesso ingenerosi con lui da quando si era separato da anni di matrimonio infelice, austeri al punto di storcere la bocca di fronte a quelle che definivano le insensate avventure del padre, non lo cercavano mai. Una stretta di mano e parole di convenienza erano tutto ciò che si manifestava nei loro rari incontri. Tanto che quando sua figlia, sposata ormai da tempo con un gelido dirigente d’industria che lui non riusciva ad accettare, aveva avuto un bambino, si era limitato a spedirle un telegramma di congratulazioni, ma non aveva mai voluto vedere il nipote, che gli era stato descritto bellissimo e dotato di precoce intelligenza.

<<A cosa pensavi?>> gli chiese Cristina, che lo guardava con amorosa premura. Il cameriere aveva versato il vino bianco da una bottiglia appannata, e adesso mescolava il risotto, con gesti lenti e precisi, su un tavolino che aveva collocato di fianco a loro. Le sorrise, rimanendo silenzioso, mentre Cristina, rassicurata, chiedeva all’uomo in giacca rossa che li stava servendo notizie sui piatti dai nomi sconosciuti. Ma quando fu tutto ordinato, sistemato, predisposto il volto di lei cambiò nuovamente espressione e si fece severo. <<Sei già stato qui?>> chiese con voce sospettosa. Una gelosia senza ritegno la trasformava. Non si placò neppure quando lui le giurò che non aveva mai messo piede in quel locale e le sfiorò la mano, come per dar più peso alle sue assicurazioni. Fu il vino fresco a sciogliere, ancora una volta, gli infantili rancori. Mangiarono con avidità, sentendosi dolcemente appesantire. <<Sarebbe bello un letto, adesso>> disse lei.

Nella mente di Bernardo si profilò, per un attimo, il buio della locanda, i tavolini di marmo sparsi nello spazio vuoto, come isole affioranti. Era il momento, pensò, di esorcizzare l’oscura presenza di Amabile, sbarazzarsi di un peso che gli premeva sul corpo come una malformazione. Provava la stessa emozione che lo aveva scosso quando aveva visto per la prima volta il campanile quadrato della cattedrale tra le brume dell’alba. Adesso, però, davanti a lui, c’era quella tenera bocca imbronciata, e il lieve sorriso appena accennato che esigeva una risposta. Ma lui sentì il ventre che gli si gonfiava, ingombrante, un crescere — sotto la tavola — come se qualcosa gli premesse dentro la pelle, dilatandola. Si toccò, vergognoso, ma tutto era normale. <<Gravidanza isterica>> pensò, con un amaro storcere della bocca. E già lei lo incalzava, trepida e impaurita, e nell’aria c’era la domanda ascoltata tante volte: <<Mi vuoi ancora bene?>>.

 

Prefazione

Introduzione

Parte prima

1

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3

4

5

6

7

8

9

10

11

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13

14

15

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Parte seconda

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13

Epilogo

Indice Ultimo degli Altinati

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