Capitolo 11

Parte Seconda

 

 

 

 

 

 

La stanza dell’albergo era calda, raccolta come la cabina d’una nave. Cristina, ritta davanti ai vetri, guardava la pioggia che cadeva fitta sul porticciolo tra le case, gremito di gondole. Al di là dello slargo la gente passava rapida, con gli ombrelli aperti. L’acquazzone li aveva colti mentre passeggiavano e avevano deciso di rifugiarsi nel vecchio albergo che erano soliti frequentare. Cristina era stata brusca e categorica: non sopportava nemmeno l’idea dell’isola, che per lei era, ormai, solo una fredda e deserta distesa di paludi mortifere e di gelidi canali. Esigeva un bel ristorante, una camera accogliente. Non quella, squallida, della pensione, dove il largo letto si perdeva nella fioca luce della lampada. Alla mattina, risvegliandosi, voleva poter scendere in un bar, scrutare volti umani, mangiare una brioche ancora calda. Aveva elencato, in fretta, tutti questi desideri, che Bernardo aveva sempre condiviso, e dei quali anche era intessuta la loro storia. Piccoli fatti, piccole emozioni di un modo di vivere amabile e sereno. I giorni della militanza erano ormai lontani, per entrambi. Aspettare l’alba al gelo, distribuendo manifestini davanti ai rugginosi cancelli delle fabbriche di periferia, con gli operai insonnoliti e indifferenti che non leggevano neppure il foglietto stampato e lo gettavano, poco più avanti, nei cestini delle immondizie: era stato un rito, un atto voluto che non aveva però dato frutti. E così i cortei rumorosi, i ragazzi del servizio d’ordine con il volto coperto dalle sciarpe, le bandiere dalle aste di legno massiccio, sempre pronte ad essere impugnate, e i tascapane che, in molti casi, contenevano bottiglie innescate. Non avevano dato calore i fuochi delle automobili incendiate, i cubetti di porfido e le insegne stradali scagliate contro i marziani coperti dagli elmi e dai grandi scudi che avanzavano sparando gas o lanciando getti d’acqua. L’impeto del mare umano si era ritirato e aveva lasciato, al cessar delle ondate, solo macerie, fango grigio e vischioso nel quale era impossibile mettere il piede.

Avevano provato entrambi, a trent’anni di distanza, lo stesso sapore amaro della sconfitta. E che il ritorno al privato fosse, soprattutto, una ricerca di edonismo era una verità che non potevano più nascondersi. Perché negarsi questa comoda camera d’albergo, dove la sovracoperta verdeazzurra armonizzava con la morbidezza della moquette e le pareti offrivano invitanti visioni della Venezia del Settecento, così come l’avevano ritratta i suoi sapienti pittori di paesaggio e di scene di costume? Il bagno era lucido di piastrelle colorate, acciai cromati, specchi. Qui era possibile consumare tutti i riti della comodità terrena, dal sesso alle bevande fresche portate in camera da una cameriera che si guardava intorno per capire di che pasta fossero i due clienti senza bagaglio e senza neppure lo spazzolino per i denti.

Ma la gioia non si sprigionava, adesso, neppure tra quelle tangibili felicità. Il cielo, fuori, era basso, grondante pioggia. E la stanza, quando si accendeva il lampadario a cristalli sfaccettati, mostrava le sue nascoste magagne: un brandello di tappezzeria strappato dl muro, in alto, una presa della luce spostata dal suo alveo, il lento gocciolare del rubinetto che aveva la guarnizione logora. Il lampadario stesso, con le sue gocce trasparenti, appariva meschino come il salotto falso-antico di una casa piccolo borghese. Illuminava la scena con una luce netta e pareva evocare nei particolari, con cruda inflessibilità, una prospettiva sgradevole. Cristina si sentiva, adesso, come di fronte a certi film angosciosi, quando si vorrebbe chiudere gli occhi per non partecipare agli orrori dei protagonisti. Meglio uscire, con la scusa di comperarsi l’ombrello e lo spazzolino da denti, sedersi in un caffè angusto, risuonante di voci, e attendere, come una liberazione, il momento in cui si varcherà la soglia di un ristorante affollato e rumoroso.

Anche nel cuore di Bernardo si destava, rinnovata, la coscienza infelice dei giorni senza significato, l’ansia di quell’ignoto che ricercava in se stesso con sempre minore immaginazione e che, nell’isola, sembrava affiorare in una dimensione insolita e antica. Fu il cameriere che chiese le ordinazioni chinato verso di loro, a rasserenarli: aveva il volto solerte di chi è abituato a mettere gli altri a proprio agio, e la sua presenza era, momentaneamente, consolatoria. Ma fuori si profilava, minacciosa, la trappola delle strade buie nella città spopolata dal maltempo.

Prefazione

Introduzione

Parte prima

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3

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5

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7

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9

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11

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13

14

15

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Parte seconda

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13

Epilogo

Indice Ultimo degli Altinati

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