Capitolo 8

Parte Seconda

 

 

 

 

 

 

Il suono dell’armonica a bocca saliva dalla strada, con il banale ritmo della canzone dei sette nani. Prima leggero, poi insistente, si trasformò nella marcetta dei marines americani. L’alba era spuntata da poco e Cristina, svegliata dalla musica, balzò fuori dal letto, aprì la finestra e cominciò a sbracciarsi nel gelo. Gridava good-bye a squarciagola, mentre la musica si allontanava. Anche Bernardo si strappò dal caldo delle coperte e sbirciò fuori dai vetri, dopo averli chiusi con violenza. Samuel se ne andava suonando il suo addio, lo zaino rosso si rifletté per l’ultima volta sul selciato umido, scomparve dietro l’angolo. <<Che scocciatore>> mormorò Bernardo, mentre tornava a letto. Ma ogni irritazione si era spenta, lasciando di nuovo il posto a un senso di vuoto, di fallimento. Avrebbe voluto sprofondare nel materasso, ignorare ogni cosa. Si domandava, per l’ennesima volta, perché si fosse radicato qui, che cosa lo incatenasse. I giorni passati gli pesavano. Avrebbe voluto fuggire, trovarsi lontano dal paesaggio ormai consueto per ripensare a se stesso, per una diversa presa di contatto con la creatività, sbiadita attraverso gli anni, forse non più riafferrabile. Aveva subito un assalto di immagini, ora larvate, ora assillanti, ma tutte, in quel momento, gli parevano irreali, frutto soltanto della sua fantasia. Reale era Cristina, che ora si spazzolava i capelli davanti allo specchio e, accorgendosi che aveva tirato fuori, la testa dal lenzuolo e aperto gli occhi, gli sorrideva. <<Forse dovrei scusarmi per ieri sera>> disse la ragazza. <<Sentivo il bisogno di qualcosa di spontaneo, di semplice. E’ difficile vivere con te quando ti chiudi in te stesso>>.

Con il volto chiaro voltato verso di lui, parlava a bassa voce. <<Mi sento troppo spesso in colpa, quando sono con te, e non è giusto. Mi sembra di sbagliare tutto, ma tu non mi aiuti a capire. Sei troppo severo e spesso ingiusto, come se avessi paura di perdermi. Invece vorrei aiutarti, come tu hai aiutato me. Ma non ci riesco>>. Cristina, parlando, si spalmava una bianca crema sulle guance: <<Non so, qualche volta sento come il bisogno di correre con qualcuno su una motocicletta, di andare a ballare…>>>.

Bernardo si era levato a sedere sul letto e appoggiava la testa sulla spalliera di legno. Da lontano vedeva la sua barba grigiastra, che era cresciuta a dismisura. <<Sono brutto>> pensò, con un amaro senso di depressione. L’armonica petulante, lo zaino rosso, il passo malsicuro di Sam facevano parte di un mondo che gli pareva vissuto solo dal di fuori, in superficie. Lui lo aveva respinto. O forse ne era stato respinto? L’immagine viva di quel mondo era adesso davanti a lui, l’ingenuo ottimismo di un viso fresco e liscio. Ma c’erano anche le piccole rughe che si profilavano sulla fronte, anch’esse, forse, segno di un fallimento non ancora accettato. L’utopia nata tra canti e trasgressioni, alla quale anche lui, per un breve tempo, si era aggrappato, si era dissolta tra atroci colpi di pistola, sangue, raffiche di mitra. Chi aveva sbagliato di più? La generazione che aveva urlato la ribellione o quella, ormai antica, che aveva scelto la lenta e sbiadita opera, giorno dopo giorno, per modificare un ordine non più soddisfacente? Forse avevano sbagliato entrambe, e adesso non c’era più un punto d’incontro, nessuna alleanza era possibile. <<Il solo immortal è l’amor>>: il verso imparato a scuola gli tornò alla memoria come l’ironica affermazione di una canzonetta da quattro soldi.

Ma non c’era ironia in Cristina, che si era seduta accanto a lui con il volto pensoso. Era come una fune gettata in suo soccorso nell’abisso profondo in cui stava precipitando. Perché non aggrapparvisi? Le tese la mano, la attirò sul letto, cominciò a carezzarla. Forse era quello il momento della verità. Ma passi precipitosi, e grida, giunsero dalla strada. Era la voce di Pietro Bono che urlava: <<Signor Bernardo, signorina Cristina, venite! E’ morto!>>. Si guardarono smarriti. <<Samuel>> bisbigliò Cristina. Ed era Samuel, infatti. Galleggiava nel canale, là dove si immette nella laguna. Qualche persona era in piedi sull’argine a guardare. Lo zaino rosso era scomparso, forse sprofondato, i capelli biondi si allargavano intorno al capo, nell’acqua melmosa. Urso apparve all’improvviso con la sua barca, arpionò il corpo e lo trascinò verso la riva. Samuel venne sollevato, posato con cautela sull’erba. Ma ogni soccorso era inutile. Giungevano, intanto, anche i passeggeri della motonave, approdata in quel momento, i marinai con le divise blu. Stavano tutti attorno al corpo, come in una mesta cerimonia, e nessuno sapeva che cosa decidere. Quel cadavere non era di nessuno. Samuel, solo in vita e solo nella morte. Il sipario era calato. Il vagabondo si era tolto le scarpe per sempre. Tra poco sarebbe arrivato il motoscafo della polizia, ma non ci sarebbero state inchieste. Tutto era tristemente chiaro come il volto sbiadito di Samuel rivolto verso il cielo che lo inondava di luce.

Prefazione

Introduzione

Parte prima

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7

8

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Parte seconda

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Epilogo

Indice Ultimo degli Altinati

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