Capitolo 12

Parte Prima

 

 

 

 

 

 

La signora Polani si presentò alla pensione nella tarda mattinata. Aveva un abito chiaro, sotto il paletò dal bavero di pelo, e si fermò a parlare con Felicita davanti al caminetto spento. Quando Bernardo scese, dopo una notte di sonno profondo, con lo stomaco sconvolto dalle bevute del giorno precedente, le trovò immerse in una fitta conversazione. Il dialetto scandiva soavi le loro parole. Come rischiarata dalla presenza di Amabile, che lo salutò con un cenno del capo, come si fa con un estraneo, la padrona della pensione pareva essersi trasformata. Portava le solite, sgraziate pantofole di feltro, ma la gonna a fiori, appena cucita, mostrava colori squillanti sotto la luce che entrava a fiotti dalla finestra socchiusa. Scopa e secchio erano abbandonati in un angolo, insieme agli stracci sfilacciati con i quali ogni giorno la donna lavava il pavimento di mattoni. La cenerentola dei giorni passati era oggi una principessa non più giovane, ma con le guance fiorite d’un rossore da adolescente. Per la prima volta, da quando era suo ospite, Bernardo ne ricordò il nome, e lo pronunciò con un breve inchino d’approvazione: <<La trovo splendida, signora Felicita>>. <<Lei è sempre gentile, come quelli di città>>.

Bernardo guardava le due donne, le teste chinate l’una accanto all’altra, con i neri capelli che si confondevano. Pareva che un medesimo stampo avesse impresso in loro caratteristiche comuni, che ora balzavano all’occhio, pur nella diversa forma dei volti e dei corpi. Simili come lo sono due giapponesi, due polacche, due portoricane. Nate da uno stesso ceppo mostravano un carattere che Bernardo ormai conosceva, solido e senza tentennamenti, che creava come una corazza attorno a un nucleo di femminile dolcezza. Lo fecero sedere e parlarono davanti a lui, che le ascoltava inorgoglito di quella familiarità, dei fatti dell’isola. I piccoli fatti di una piccola isola, gli venne da pensare. Ma al di là delle banali vicende di tatti danneggiati dall’acqua, di pesche quasi miracolose, di malattie improvvisamente scaturite in corpi vecchi e logori, si avvertiva un saldo e comune tessuto umano che faceva di quel mondo librato sulle acque un regno minuscolo ma a sé stante, separato dalle isole vicine, lontanissimo da quella terraferma che pure, nella limpida chiarezza della mattina, appariva alla finestra, al di là della laguna, con i monti frastagliati e spruzzati di neve, e i voli degli aerei che si levavano pesanti tra i prati verdi e chiazze d’alberi che avevano salvato le loro fronde dalle gelide dita dell’inverno.

Ogni tanto Amabile, tra sorrisi appena accennati e provocanti scoppi di riso, lo guardava di sottecchi. Ma Bernardo, con un oscuro senso di impaccio e un incerto ritegno, preferiva volgere il suo sguardo a Felicita, seria e dignitosa come una badessa. Era stata, nei giorni precedenti, una presenza scialba e anonima, con il viso quasi sempre rivolto al fornello e la camino, o chino sulla verdura da mondare. Quella sua reticenza Bernardo l’aveva attribuita a una forma di timidezza verso l’uomo di città, o alla sottile vergogna per quella rete del letto che cigolava nella notte, alla quale l’ospite avrebbe potuto dare un preciso significato. Adesso, come se vergogna e timidezza fossero state cancellate da una vampata d’orgoglio, la sua figura matronale si presentava nella veste nuova, o antica, di una di quelle monache che nei conventi dell’isola, ormai sbriciolati dal tempo, avevano raccolto tesori, collezionato codici e documenti molti dei quali erano sopravvissuti alle stesse mura di dure pietre squadrate degli edifici.

L’occhio fisso al di là delle due donne, Bernardo seguiva, nel cielo aperto, la scia grigia e brillante di un aereo decollato dalla terraferma. <<Vorrebbe volar via>> disse improvvisa Amabile, che lo guardava con attenzione. <<Sì, lei non è davvero uno di qui>>. Quelle parole, pur dette con semplicità, senza alcuna carica di emozione, ferirono l’uomo, che aveva gli occhi abbagliati dal sole. Quando li rivolse verso la sua interlocutrice, piccole macchie nere gli balenarono davanti, quasi cancellando l’immagine della bocca che aveva parlato. Si sentiva instabile, una fragile creatura al centro di un terremoto scatenatosi senza preavviso e che faceva crollare ogni certezza di un mondo reale. Si limitò a rispondere: <<Qui sto bene>>. Era giunto il momento di uscire, ed egli si alzò, salutando. Ma la voce della donna sembrava inseguirlo mentre varcava la soglia: <<Mi accompagna alla motonave? Devo andare a Burano a fare la spesa>>.

Furono di nuovo soli, insieme, questa volta nella trasparenza dell’aria. Forse, pensò Bernardo, c’erano spiegazioni da dare, o forse tutto era un affastellarsi di circostanze cui avrebbe dovuto inchinarsi. Ma la curiosità era più forte dell’incanto di quell’ora così limpida e preziosa. <<Perché mi ha lasciato?>> chiese. <<Forse è lei che ha lasciato me>>, rispose prontamente Amabile. <<Ma domande e risposte non servono. Se lei non parte, potremo sempre rivederci>>. Ora la nave s’avvicinava, con bianche fiancate scintillanti sull’acqua, e un nugolo d’anatre volò via goffamente, sfuggendo i solchi creati dall’elica. La donna schiacciò un occhio, complice, a lui e al marinaio che si chinava per legare la gomena al palo dell’approdo. Scesero, frastornati, i turisti: alcuni già impugnavano le macchine fotografiche inquadrando una barca — forse quella di Urso? — che si profilava in un canale vicino, tra l’erba folta degli argini. Amabile salì sola, aiutata dal marinaio che la prese familiarmente per il gomito. E sola rimase sul ponte, nera e solenne, salutandolo con un lieve cenno della mano.

 

Prefazione

Introduzione

Parte prima

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3

4

5

6

7

8

9

10

11

12

13

14

15

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Parte seconda

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13

Epilogo

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