Prefazione

 

 

 

 

 

 

Può il mondo ridursi progressivamente fino a diventare piccolo come una piccola isola? Certo, è un fenomeno cui assistiamo quasi quotidianamente: è il vertiginoso restringersi di uno spazio fisico e mentale nel quale ci muoviamo via via, appesantiti e incapaci di aprirci a una dimensione più ampia della quale comincia a sfuggirci anche la percezione. Ma per Bernardo Barbaro, il protagonista de L’ultimo degli Altinati, il suo rinchiudersi, la <<fine del viaggio>>, assume i contorni di un’isola vera e propria. E’ Torcello, rivisitata con la sua storia di splendori, malattie e leggende di cui ancora gli abitanti favoleggiano, luoghi di incontri sospesi in una atmosfera rarefatta e suggestiva, segnata da un persistente senso di fatalità. Le creature che la popolano, forse reali, forse sognate, ci vengono restituite nella verità di un’ansia e di un tormento che, pur essendo soltanto del protagonista, ci sono ugualmente familiari. La storia narrata infatti, che si dipana in bilico tra presente, passato e mito, ha il fascino brusco di un romanzo molto attuale. Niente di quanto corrode progressivamente la serenità e la voglia di vivere di Bernardo Barbaro ci è veramente sconosciuto: Bernardo Barbaro siamo noi. Il suo costante interrogarsi sulla vita e sul perché delle scelte passate è anche nostro, il suo abbandonare un amore per fissarsi in una dimensione avulsa dal mondo e legarsi a personaggi chissà quanto reali, è la stessa incapacità collettiva, avvertita più che mai in quest’epoca, di far attecchire le radici della nostra esistenza. Ma L’ultimo degli Altinati è tutto questo e molto altro: è la capacità di suggestioni antiche e preziose, è una religiosità senza fede, è lo spettacolo silenzioso del fatale fluire della vita. L’abolizione degli spazi temporali domina anche Il cinquantennio, il racconto breve che segue il romanzo e che ad esso si lega strettamente. Una gita domenicale diventa per il protagonista (ancora Bernardo Barbaro?) un’occasione per riandare con la memoria ad un’età ormai lontana, un ritorno ai tremori dell’infanzia, alle immagini sbiadite del padre e della madre, che fanno affiorare un antico senso di esclusione. E’ una ferita, mai completamente rimarginata, su cui si sono sviluppate una ritrosia, un’autoesclusione che hanno impresso il loro particolare carattere a tutta l’esistenza. Il senso di sgomento è però attutito dalla dolcezza della natura circostante e lascia il passo all’intuizione, un po’ malinconica, di un diverso, possibile, modo di vivere la vita.

Prefazione

Introduzione

Parte prima

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Parte seconda

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Epilogo

Indice Ultimo degli Altinati

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