Capitolo 4

Parte Prima

 

 

 

 

 

 

 

Tre gatti, accoccolati sul davanzale della finestra, fuori dai vetri appannati, sembravano in attesa di cibo. Ma quando, uscendo, egli s’avvicinò per accarezzarli, balzarono via tra impauriti e infuriati. Uno, enorme, con il pelo nero e una macchia bianca sulla gola, si rivoltò verso di lui, quando ebbe varcato lo steccato dell’orto, e gli miagolò contro. Un suono rauco, straziante, quasi una protesta contro la non desiderata ingerenza dell’uomo. Si aspettò, per un attimo, d’essere aggredito, e immaginò la bestia mentre scattava verso di lui con le unghie tese in avanti, come il leone di pietra del sogno. Ma l’animale si era ormai ricomposto e sparì silenzioso, con i suoi compagni tigrati, nel folto d’un cespuglio. Li osservò con la coda dell’occhio mentre ricomparivano sull’argine, in fondo al campo, avviandosi verso un’altra delle poche case abitate dell’isola che sorgeva lontana, in mezzo alla campagna.

Le piante di carciofo, con le foglie aguzze che sembravano punte di lancia, s’infittivano attorno alla pensione, in mezzo a profondi solchi aperti nella terra fangosa. In lontananza, profilato contro il chiaro orizzonte, un contadino in stivaloni di gomma, fermo su un sentiero, pareva montare la guardia. Era immobile, pietrificato, ma d’improvviso portò entrambe le mani alla bocca e urlò alcune frasi in dialetto. Fu raggiunto da un altro uomo, basso e robusto, avvolto in un mantello scuro come il saio d’un frate. Entrambi s’incamminarono lungo un sentiero appena tracciato, parlando a bassa voce: Bernardo vedeva il loro fiato rapprendersi nell’aria cristallina, come un sottile filo di vapore che usciva dalle bocche spalancate.

Camminò diritto davanti a sé fino a quando, al termine della strada selciata che costeggiava il canale, le sue scarpe calpestarono un’erba molle, intrisa d’acqua, sulla quale parevano essere appoggiate la mole esagonale della chiesa di Santa Fosca e la severa costruzione del duomo, dominate dalla massiccia torre quadrata. Un gruppo di turisti, con il volto alzato per seguire ogni particolare, ascoltava un minuscolo uomo in nero che faceva da guida e che, parlando, mostrava aguzzi denti gialli tra le labbra carnose. Pronunciava l’inglese sillabandolo, con una specie di ironica condiscendenza, e in quel fluire di parole Bernardo avvertiva il lieve influsso del dialetto, così come l’aveva sentito nella parlata dei due contadini. L’uomo agitava un sottile bastone nero, dal pomo d’avorio, con la punta del quale indicava le facciate severe dei templi e i curiosi intagli dei capitelli. Quando si mosse per avviarsi verso l’ingresso della chiesa, agitò la gamba destra — evidentemente anchilosata — sulla quale pareva librarsi, mentre il peso dell’esile corpo premeva sul bastone. I suoi occhi grandi scrutavano il volto delle turiste del suo gruppo con l’espressione del cane che cura il suo gregge. A Bernardo parve quasi di sentirlo ringhiare quando due giovani barbuti, con rigonfie giacche a vento e jeans attillati, si avvicinarono a due ragazze dai capelli color paglia e si misero a parlare con loro. Ma l’approccio fu respinto e la guida, placata, entrò zoppicando sotto il portico, seguita dal gruppo compatto.

La verde piazza, adesso, era quasi deserta. Tre ragazzi si fotografano a turno seduti sulla corrosa poltrona di pietra che spiccava nel verde prato davanti alle chiese, accanto ad un bianco capitello. Un sentiero fangoso portava più avanti, oltre la zona monumentale, costeggiando un grande orto recintato. Al di là dell’alta rete metallica, insieme alle scheletriche sagome degli alberi, statue grigie, rivestite da chiazze di muschio, erano state avvolte in veli di plastica trasparente. Volti appena accennati, dagli occhi duri e vuoti, sembravano guardare il passante attraverso i cappucci velati. Una rosa gialla dal lungo stelo, ultimo fiore rimasto vivo in quel disfacimento, si ergeva tra cassette di legno fradicio e fiaschi spagliati. Le voci dei turisti giungevano fioche dalla piazza senza scuotere l’immobilità di una tozza figura femminile, anch’essa di pietra, che si era liberata dal suo involucro protettivo e stava ritta su un solo piede, sollevando l’altro come in una saga contadina, la veste scomposta e fitta di pieghe.

Il freddo, nonostante il limpido sole, era intenso. Sul largo canale al di là dell’orto una formazione d’anatre filava sull’acqua splendente, lasciando dietro di sé una lieve scia. Enormi piloni di legno segnavano il punto nel quale i cavi elettrici erano distesi sotto l’acqua. Bernardo tornò sui suoi passi e si fermò, stupito, davanti a un’altra statua, candida questa, di un marmo che le intemperie non avevano velato. Con un volto corroso, dal naso mozzo, e il seno alto tra le pieghe della tunica, stava appoggiata al muro, di fianco alla porta verde di una casa come in attesa di una visita perdutasi nei secoli. Pensò a Palagonia, ai mostri che gli erano apparsi in un tramonto livido di pioggia nella villa alle porte di Palermo, con il brivido che sempre suscita l’abnorme, l’insolito, ciò che esce dai canoni e dalle regole.

Così anche apparivano, tra l’oro scurito dell’abside del duomo, i dodici apostoli nelle bianche tunichette trasparenti, i piedi divaricati quasi a cercare un difficile equilibrio nella conchiglia di marmo e di lustre tessere che li ospitava, dominati dalla figura asciutta della Vergine che, con la mano dalle dita appena accennate, indicava lo scomposto pargolo biondo seduto sul suo braccio ripiegato. Era entrato, spinto dal freddo, tra le scure navate dove sorgevano le impalcature dei lavori dominate, oltre che dalla gelida Vergine, dal Cristo in legno issato come un pennone sull’asta della croce, con le costole scheletriche e il pube appena coperto da un bianco perizoma. Per un istante si sentì anche lui issato in alto, come la bandiera umana del dolore, o genuflesso sui duri pavimenti dai quali affioravano, nelle grigie pietre tombali, incerte sagome di prelati: poi la folla dei turisti, preceduta dall’uomo nero che tendeva il suo bastone in segno di comando, gli fluì attorno e tutto tornò umano e normale, una domenica di sole e di freddo nell’isola in mezzo alla laguna, con i denti gialli della guida che parevano mordere le parole mentre vecchie signore tedesche lanciavano verso le volte oscure acute esclamazioni di meraviglia.

 

Prefazione

Introduzione

Parte prima

1

2

3

4

5

6

7

8

9

10

11

12

13

14

15

16

17

Parte seconda

1

2

3

4

5

6

7

8

9

10

11

12

13

Epilogo

Indice Ultimo degli Altinati

Home Franco De Poli