Capitolo 7

Parte Prima

 

 

 

 

 

 

La casa di Giovanni Polani sorgeva al di là del ponte del diavolo. Nell’oscurità la curva sagoma sottile, senza parapetto, appariva fragile e malsicura. I passi di Bernardo e del suo ospite echeggiarono lungo il canale, si persero nella massa cupa dell’acqua che pareva stagnante. <<Non ci faccia caso, a Giovanni>> disse Pietro all’improvviso, mentre camminavano lungo il sentiero, tra i campi raggelati di carciofi. <<E’ un po’ strano. Una volta l’hanno ricoverato perché di notte usciva a strangolare i gatti, e ha minacciato la moglie con il falcetto. Adesso è tranquillo, anche se ogni tanto alza il gomito e passeggia da solo tutta la notte>>.

L’edificio era buio ma davanti alla porta la minuscola lampada di un altarino illuminava una nicchia aperta nel muro in cui si profilava la sagoma snella di una madonna di pietra. Pietro sollevò la verde mano di bronzo che stava al centro della porta sbarrata e la fece sbattere tre volte sul legno massiccio. La donna che aprì, certo la moglie di Polani, era alta e bella, con la testa eretta e i capelli neri raccolti a ciambella sul capo. I suoi occhi, socchiusi, splendevano nelle strette fessure delle palpebre. <<Giovanni vi aspetta>> disse << e scusatemi se non vi faccio compagnia anch’io. Vado a trovare una vicina malata>>. Fece un cenno, indicando l’interno della casa, e si allontanò nel buio, la snella figura stretta in un cappotto nero con un bavero di pelo di coniglio attorno al collo.

Bernardo si accorse subito che il custode aveva bevuto. Barcollava un po’, quando andò loro incontro per salutarli. <<C’è un altro amico — disse — che ha piacere di conoscervi. E’ Urso>>. L’uomo che si alzò per stringergli la mano era lo stesso che Bernardo aveva visto, al mattino, curvo nella barca che scivolava leggera sul canale. Il suo volto, visto da vicino, pareva ancora più rugoso, il profilo tagliente come una pietra appena sbozzata. <<L’ho vista in barca, questa mattina>> disse Bernardo, ma Urso non rispose. <<Siamo solo in cinquanta sull’isola>> disse invece Polani con un sorriso amaro. <<E’ facile incontrarci tutti quando si sta qui qualche giorno. Cinquanta tra uomini, donne e bambini. E mille gatti. Un tempo, ho letto su un libro, qui vivevano più di tremila persone>>.

Si sedettero al tavolo di legno e il padrone di casa versò da bere a tutti, colmando i bicchieri fino all’orlo. <<Dicono che ci fossero anche vigne, fino a cinquant’anni fa. Adesso solo carciofi, e un po’ di cavoli e d’insalata. Ma il vino è buono, lo andiamo a prendere dai contadini di terraferma>>. Alzò il bicchiere, a mo’ di brindisi. <<Paludi e malaria hanno fatto strage>> esclamò. <<Ma quelli rimasti sono di salute buona>>.

<<L’abbiamo invitata>> disse Pietro, senza preamboli, <<perché, anche se non ne sappiamo bene le ragioni, lei è venuto a stare qui d’inverno, e ci sembra quasi uno di noi. Forse è nell’isola per studiare, e allora vogliamo farle vedere alcune cose che non troverà nel museo. Ma non ne parli con nessuno, altrimenti finiamo in galera>>. Urso e Polani vuotarono i bicchieri in un sorso, invitando gli altri due a fare altrettanto. La legna, nel camino, scoppiettò, sollevando contro il fondo nero miriadi di scintille, e un fumo bianco e acre cominciò a invadere la grande cucina. <<E’ troppo verde>> disse Polani, alzandosi per frugare tra le braci. La fiamma si levò improvvisa, e l’uomo vi gettò altra legna secca.

<<Lei ha ammirato i nostri tesori in chiesa, e forse anche nel museo>> proseguì il padrone della pensione, porgendo il bicchiere vuoto perché glielo riempissero di nuovo. <<Ma sui tesori noi ci camminiamo, ci stiamo seduti sopra. Quando facciamo gli scassi, o qualche buca per metterci il concime, salta sempre fuori qualcosa. Un po’ le abbiamo date ai professori di Venezia che si occupano di queste faccende, un po’ le abbiamo tenute. In fondo è roba nostra, e non ne facciamo commercio>>. Il fuoco del camino adesso riscaldava piacevolmente la stanza, e il vino rosso cupo scintillava nei bicchieri. C’era un grande silenzio, intorno, un’atmosfera gravida di attese. I bicchieri si alzarono e si abbassarono, tintinnando sul piano di legno lucido del tavolo.

<<Una cosa bella come questa forse non l’ha mai veduta>> disse dopo un attimo Polani, alzandosi. Prese un fagotto posato sulla cassapanca e con gesti nervosi frugò tra gli stracci. Qualcosa gli luccicò in mano, alla luce della fioca lampada appesa sopra il tavolo, al centro del soffitto. Pulì con il gomito della giacca il piano di legno, dove si erano formate piccole chiazze di vino, e vi posò con delicatezza una piastrella quadrata che splendeva come se fosse d’oro. Il volto ovale e sereno della Vergine, seduta in trono spaziava nella formella, circondato da un’aureola di globi luminosi. Gli occhi rotondi, grandi e tesi in una fissità priva di grazia, sembravano uscire dalle palpebre e il lungo naso diritto e sottile sormontava i tratti ostili d’una bocca crucciata. Lo scialle che le copriva il capo e la veste che giungeva fino alle minuscole pantofole istoriate — i piedi, piccolissimi, davano un precario senso di equilibrio alla figura — erano una inarrestabile sequenza di pieghe rigide, fluivano come un’acqua rappresa fin sul gonfio cuscino dagli orli ricamati posato ai piedi di un trono dalle gambe possenti ma il cui largo schienale aveva la levità di un intreccio di vimini. Mani lunghe e magre sostenevano, in grembo, un bambino il cui viso sensuale pareva la copia di quello della madre. Con lo sguardo fisso nel vuoto il putto tendeva una mano dalla palma aperta davanti a sé, in atto di benedire o respingere.

Polani passò il grosso indice, trattenendo il fiato, sugli sbalzi del metallo, sulle lettere misteriose incise in uno spazio vuoto di fianco al viso della madonna. <<Questa>> disse <<è più preziosa di quella che c’è nel museo>>. E mentre la formella risplendeva sul tavolo, quasi in contrasto con la povera mediocrità dell’ambiente, il fuoco del caminetto sembrò animarsi e la legna accatastata franò, con lieve rumore, fino a quando la fiamma si trasformò in un insieme di braci rosse e fumiganti.

<<L’ho trovata nel mio orto>> continuò Polani <<mentre scavavo una buca per il concime. Era avvolta in una tela e carta da pacco, come un bambino nato morto e gettato via. Forse chi l’aveva rubata l’ha nascosta lì per poi riprendersela. Ma adesso è mia e non la darò a nessuno. Mi basta guardarla ogni tanto. Lei che ne dice?>> Guardò Bernardo con uno sguardo di sfida. <<Splendida>>, egli rispose seccamente. E passò l’indice sull’intrico delle pieghe e delle decorazioni, soffermandosi sui buchi ineguali del bordo, dove un tempo i chiodi avevano fissato la tavoletta votiva a una più grande pala d’altare.

<<Ce ne sono altre>>, disse Urso, rompendo il silenzio che era calato nella stanza. <<Io ho trovato questa>>. Dalla tasca sformata del giaccone estrasse un nuovo involucro. La formella era avvolta in un tovagliolo di lino ricamato, che certo aveva fatto parte di un’antica dote. Sulla lustra superficie di metallo spuntava, in rilievo, un angelo dalla testa leonina, con le ali da uccello e le braccia spalancate. La mano che l’aveva sbalzato non aveva la maestria di quella che aveva creato la Vergine col bambino. Le fattezze, le pieghe dell’abito, la bugnatura delle ali che parevano artificiosamente appiccicate al dorso della creatura celeste apparivano più grossolane, buttate giù in fretta. E buffe erano le gambe divaricate dalle ginocchia in giù, con calzari che salivano a metà dello stinco. L’angelo teneva in una mano un globo sormontato dalla croce e con l’altra sorreggeva una lunghissima spada che aveva la punta rivolta in alto, all’altezza del suo viso, mentre l’elsa era appoggiata sul terreno.

Gli uomini erano chini sulle formelle, poste l’una di fianco all’altra, cui faceva da velo l’ombra dei loro corpi. Il rito antico dell’adorazione sembrava ripetersi nell’oscurità della cucina, tra i guizzi sempre più tenui delle braci dell’altare-caminetto. Altre figure ieratiche, pensò Bernardo, dormivano, in attesa della pala o del picco rivelatori, nella terra umida, sotto le piante puntute, tra i vermi annidati nelle loro opache tane. Apostoli immobili, con i loro cartigli spiegati, le croci, i libri rilegati del sapere e del culto, le mani protese e levate nella benedizione, santi dai nomi mitici, Teofrasto e Liberale, aquile aggressive e grassi vitelli destinati al sacrificio. Come in una seduta spiritica, propiziata dal buio e dal silenzio, queste figure sembravano sorgere dagli antichi templi crollati, finiti in polvere, disgregati dall’usura del tempo, e si affacciavano alle finestre spente delle case dei vivi, velate dal caldo vapore, come nubi di paradisi senza nome e senza peso.

Fu Urso a rompere la levità di quell’attimo con la sua voce roca da vecchio. <<Beviamoci sopra>> disse, afferrando il bicchiere. E lo sollevò, guardando la vergine dorata, don le due mani unite, ripetendo il segno della eucaristia. <<Amen>> dissero gli altri, bevendo. Anche Bernardo levò il suo bicchiere, sentì il sapore acre del vino fresco e frizzante. Una strana allegria univa i quattro uomini, una sicurezza vitale che si sprigionava dalla immagine protettiva dell’angelo armato, dalla mano minuscola del bambino affondato nel grembo metallico della madre.

Prefazione

Introduzione

Parte prima

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5

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7

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14

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Parte seconda

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Epilogo

Indice Ultimo degli Altinati

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