Capitolo 15

Parte Prima

 

 

 

 

 

 

<<Noi dell’isola ci credono un po’ tocchi, un po’ fuori di senno>> disse Amabile Polani, toccandosi la fronte con una delle sue unghie lunghe e fragili. I capelli corvini, sciolti, le scivolavano giù sulle ampie spalle bianche. Stava seduta nel letto, appoggiando la schiena a un cuscino, e fumava, inanellando cerchi di fumo nell’aria. Accanto a lei, sdraiato sul grande materasso soffice, Bernardo si sentiva ancora una volta dolorosamente inetto, come un mollusco strappato dalle valve, un pesante corpo disossato e fluttuante sotto le candide e fredde lenzuola di lino. Sbirciava, sollevando il capo dal cuscino, il seno affannoso della donna, che traspariva dalla sottoveste nera, bordata di trine un po’ lise. Erano nella stessa stanza dell’altra volta, nell’aria aleggiava un pulviscolo sottile, illuminato a strisce dalla luce che filtrava dalla finestra serrata.

Che si dovessero incontrare di nuovo era stato, per Bernardo, uno dei tanti segni del suo non chiarito destino. Stava scritto, certo, in uno di quegli imperscrutabili volumi che si aprivano pagina dopo pagina davanti a lui nei dormiveglia, e di cui non riusciva ad afferrare le parole. Vergate con antichi inchiostri sbiaditi, le frasi latine campeggiavano, qua e là cancellate dal tempo, in cornici colorate dove pampini e frutta si alternavano a severe figure di santi. Quando i libri si chiudevano, la spessa pergamena delle copertine appariva macchiata da sbavature d’inchiostro, sigilli di ceralacca spezzati pendevano a pie’ di pagina. Mariegole di confraternite, copie di bolle papali, documenti di vescovi-reggitori si dilatavano nello spazio buio, segrete registrazioni di comandamenti venuti da lontano, intrecci di vicende già concluse, e di altre forse prefissate. In una delle miniature dai colori sbiaditi una vergine austera, con il figlioletto contadino attaccato alle dure poppe, aveva lo stesso volto di Amabile, ora chino su di lui così che i capelli erano una pioggia lieve sul suo viso riarso. Un volto che si ripeteva, di profilo, anche nei cocci colorati che talvolta affioravano dall’umido suolo, frammenti minuscoli del vasellame che i ricchi monaci ponevano ogni giorno sulle tovaglie ricamate dei loro refettori.

Era entrato, quel pomeriggio, guidato da un presentimento (o forse era solo speranza?) nel locale semibuio dai tavolini di marmo mentre la motonave, alle sue spalle, lanciava i tre fischi della partenza. Aveva aperto la porta scampanellante, ma questa volta il suono gli era sembrato quello sommesso dell’altare, quando il prete alzava nell’aria la particola consacrata. Da piccolo, se ne ricordò di colpo, mentre era fermo sulla soglia, stava volutamente eretto tra la folla della chiesa, che aveva chinato il capo, fissando ostinatamente l’ostia che si profilava davanti al ciborio, e sentendo in sé la fierezza dell’atto sacrilego, sfida aperta a un dio sconosciuto. Una simile fierezza lo invase quando vide la donna che sedeva allo stesso tavolo dell’altro incontro, come se lo attendesse. Era lei, Amabile la splendida, con i capelli raccolti in cima al capo e il volto che spiccava pallido nell’ombra; ora illuminava il suo cuore come una lampada votiva accesa nelle catacombe. Salendo dal profondo del suo essere un palpito amorevole ma pieno di tremiti gli mozzava il fiato, gli rendeva difficile percorrere i pochi metri che lo dividevano dalla donna. Giunse, infine, impacciato fino alla seggiola di fianco a lei e vi si lasciò cadere senza parola.

<<Nuda no, non voglio>> disse la donna, più tardi, nella stanza. Si era tolta i vestiti, li aveva appoggiati di nuovo con accuratezza sullo schienale della seggiola, facendo scivolare via le calze dalle gambe accavallate. La sottoveste nera la rendeva più bianca, il corpo spuntava eretto dai merletti, il seno palpitava. La toccò con le mani aperte mentre era in piedi accanto al letto e poi ancora, più timidamente, quando furono sdraiati. Non c’era ardore, in lui, solo la consapevolezza di un contatto che non aveva più ostacoli. Foglie sparse della Sibilla, le parole di lei — più che i suoi lenti gesti amorosi — parevano offrirgli il primo appiglio per aprire i meandri che una memoria ancora sepolta avvolgeva d’oscurità.

Quieti, come due bianchi piccioni nelle tane di marmo di un duomo protettore, erano adesso sprofondati tra le coperte. Buona e feconda era la stanchezza di Bernardo, che sentiva la donna libera da ogni impaccio, pronta a rivelarsi.

<<Dicono che siamo un po’ pazzi>> ripeté Amabile, con un remoto sorriso. Il suo respiro era profondo, sicuro come la salute prorompente che si manifestava nel forte battere del sangue alle vene dei polsi. <<Mio padre faceva il pescatore, era vecchio quando io sono nata, e una volta lo vidi armato d’accetta affrontare un gatto infuriato. L’animale aveva il dorso arcuato, denti e unghie spiccavano come conchiglie di madreperla nel suo pelo nero. Lui lo decapitò con un sol colpo, poi immerse le dita nel sangue e si segnò la fronte>>. Il ricordo di quella scena non sembrava impaurirla. Continuò a parlare del padre, soprappensiero, come se confidasse per la prima volta a se stessa le storie che avevano condizionato la sua esistenza. <<Quando cominciò ad invecchiare, si mise a raccogliere molti libri nella sua stanza: li portava in casa di nascosto, come se li avesse rubati. Alla fine gli arrivò la pensione e da allora non uscì più di casa. Leggeva, leggeva sempre senza sosta, tanto che mia madre gli portava il cibo in stanza, e prendeva appunti sui quaderni che si era comperato. Dove avesse trovato quei volumi, alcuni dei quali sembravano antichi, non me lo disse mai. Me li lasciò in eredità quando morì. O meglio, quando volle morire. Lo trovammo seduto su quella che viene chiamata sedia di Attila, con il marmo tutto macchiato di sangue. Si era sparato al cuore con la pistola della prima guerra mondiale, che aveva sempre tenuto nel cassetto. Pronta per i ladri, diceva. Invece la usò contro se stesso, e non sbagliò il colpo. Ne parlarono i giornali, io vagavo miserabile per l’isola e il giorno che venne la gondola nera mi nascosi tra le canne. La vidi passare, con la cassa infiorata, e dietro poche barche, con gente dal capo chino. Preparai la cena per mia madre, che tornò sola, alla sera, senza parenti. Lei è ancora viva, sorda ma sempre in faccende. Anche quei libri sono sempre lì>>.

<<Li hai letti?>> chiese Bernardo. Non ci fu risposta. Perché la donna avesse scelto quella camera, e quel particolare momento, per fargli le sue confessioni, Bernardo non riusciva a capire. La vedeva allucinata e lontana, lo sguardo fisso nel vuoto. Forse, abbandonando per qualche attimo il suo isolamento, sentiva il bisogno di un calore diverso da quelli consueti, e lo aveva cercato in lui, il forestiero venuto dalla città ma inseritosi subito, come per un miracolo, nel mondo minuscolo dell’isola. <<Mio padre>> continuò la donna <<lavorò per molti anni con quelli che scavavano per cercare oggetti antichi. Sapeva usare pala e picco con tutta la delicatezza necessaria. Molti pezzi che adesso sono nel museo li ha trovati lui, ma non me ne parlò mai>>. Raccontava senza emozioni, con un distacco che gli anni avevano reso naturale. <<Se vuoi leggerli tu, quei libri, puoi venire a casa mia quando ti pare>>. Gli voltò le spalle, sdraiandosi. Il suo corpo maestoso gonfiava il letto, i muscoli delle gambe avevano scatti lievi, preannunci del sonno che calava su di lei. Bernardo, immobile, gli occhi aperti nel buio, sentiva il suo respiro farsi, a poco a poco, più pesante, fino a che un lieve russare gli comunicò che s’era addormentata.

Provava strani morsi di fame. Pensò che non aveva mangiato, e cominciò a struggersi all’idea del pesce sfrigolante nella padella di ferro. Avrebbe potuto lui, questa volta, lasciare il letto, abbandonare alle sue spalle quel corpo che pareva privo di conoscenza. Così si vestì lento, nel buio, di infilò le scarpe senza allacciarle e aprì con delicatezza la porta. Dal letto gli giunse la voce di lei: <<Vieni da me, domani. Per quei libri>>.

Prefazione

Introduzione

Parte prima

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3

4

5

6

7

8

9

10

11

12

13

14

15

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17

Parte seconda

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13

Epilogo

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