Capitolo 3

Parte Prima

 

 

 

 

 

 

Eppure la prima notte che passò nell’isola non fu tranquilla e serena come il grande silenzio e l’isolamento potevano far presumere. Il sonno tardava a venire e Bernardo, dopo essersi infilato sotto le pesanti coperte ed aver spento la lampada del comodino, ricavata da una vecchia bottiglia di grappa sulla quale era stato appoggiato un opaco paralume verde, fu colto da una lucida insonnia: ascoltava i lievi rumori nella cucina sottostante, dove i padroni della pensione stavano conversando con qualche vicino venuto in visita, e i lontani mugolii di un cane alla catena. Lo sbattere della porta d’entrata, i secchi giri della chiave e i passi sulle scale lo avvertirono che anche i suoi ospiti si erano ritirati. Li sentì ancora parlare un poco in una stanza in fondo al corridoio, avvertì il cigolio delle reti del letto fino a quando, nella casa, il silenzio fu totale, pesante come il buio che lo circondava.

Qualcuno passò di fianco alla casa, sulla stradina di pietra che costeggiava il canale. Canticchiava, forse era ubriaco, e le sue scarpe pesanti suscitavano echi impensati. Fu, quella, l’ultima presenza umana, alla quale subentrarono però altri rumori, come uno zampettio d’uccelli sul tetto, o il frusciare di fronde mosse dal vento. Avvertiva, anche, il battito regolare del suo cuore e il suo respiro, un po’ sibilante, come se la sua stessa presenza nella camera buia gli fosse estranea, staccata da lui.

Il dormiveglia che seguì fu popolato di strane figure che parevano intagliate nella pietra: l’uno dopo l’altro gli sfilarono davanti due cavallini, un uccello con il corpo segnato dai solchi profondi delle penne, un leprotto disegnato da mano infantile, intento a rosicchiare una pianta, un grifone avviluppato da rami a volute, che sembravano vimini attorcigliati, e uno strano quadrupede che si sforzava di uscire da una rigida cornice, con la testa rivoltata all’indietro, la lingua protesa fuori dalla bocca e la lunga coda avviluppata tra le zampe posteriori. Poi fu la volta di un leone scarnito che, piombato con le quattro zampe sulla schiena di uno spaurito cerbiatto, ne azzannava la parte posteriore. Queste due ultime visioni lo impaurirono, si sentì precipitare e sobbalzò sul letto, facendo cigolare la rete, ma poi l’atmosfera del sogno si fece più serena: due pavoni, con le teste sollevate, si abbeveravano a una grande tazza sostenuta da due colonnine mentre dietro di loro, quasi come sul fondale di uno scenario, due coppie d’uccelli becchettavano rigogliosi grappoli d’uva. Per un attimo a queste immagini si sovrappose quella d’un’aquila ad ali tese che sollevava nell’aria, con enormi artigli, un indifeso animale a quattro zampe contorto negli spasimi dell’agonia, ma a questo punto una cortina di tralci e di fiori stilizzati creò come un diaframma tra lui e gli animali, quelli amichevoli e quelli feroci, e sfumò, infine, sotto la coltre di un sonno pesante, interrotto soltanto dai tre sordi suoni di sirena della prima motonave che, tra le brume dell’alba, toccava la costa dell’isola.

Rimase nel letto a lungo, rigirandosi nel caldo del piumino decorato a piccoli fiori, timoroso di uscire nel freddo della stanza. A poco a poco il lieve chiarore che filtrava dagli scuri si trasformò in una lamina dorata, e quando infine, vincendo la pigrizia e il peso della notte faticosa, egli si alzò, si avvicinò alla finestra e l’aprì, il sole luminoso lo irraggiò di una luce gelida ma piena di conforto, facendo sparire con il suo splendore quei residui del sogno che pesavano in lui come un’acqua stagnante e melmosa.

Si lavò e si vestì in fretta e scese per la colazione in cucina quando già i primi turisti si affacciavano alla porta chiedendo caffè caldo. Una coppia di giovani nordici aveva posato due enormi zaini di nailon per terra, accanto al camino spento, e attendeva la colazione. Bernardo mangiò il suo caffelatte dall’altra parte del tavolo, di fronte a loro, e li osservò spalmando di marmellata lunghe fette di pane scuro. Avevano entrambi lunghi capelli d’un biondo chiaro, uguali giacche a vento trapuntate. Le loro mani, rosse di freddo come la pelle delle gote, si stringevano sopra la tavola, a testimonianza pubblica d’un vincolo amoroso. Ogni tanto lei sollevava gli occhi azzurri dalla tovaglia incerata e fissava Bernardo come se non osasse rivolgergli la parola. Gli chiese infine, in un inglese scolastico, l’orario delle motonavi. Impacciato, egli interpellò la padrona, che portò ai due un elenco scritto a mano con tutti gli arrivi e le partenze. <<Io non sono di qui>>, disse Bernardo, scusandosi. Ma la frase gli costò un attimo d’esitazione perché in realtà, scendendo per le scale di legno scricchiolanti al piano inferiore, egli s’era sentito, per un attimo, proprio <<uno di lì>>, quasi che il suo soggiorno durasse da tempo indefinito e un tempo altrettanto indefinito lo legasse all’isola per il futuro.

 

Prefazione

Introduzione

Parte prima

1

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3

4

5

6

7

8

9

10

11

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13

14

15

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17

Parte seconda

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13

Epilogo

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