Capitolo 13

Parte Seconda

 

 

 

 

 

 

Cristina rifaceva la valigia nella stanza inondata ancora dalla fredda luminosità del cielo bianco. Era mattina inoltrata, Bernardo era già uscito e tornato due volte, senza parlare, senza cercare di fermarla. Aveva camminato, come nei giorni passati, lungo i sentieri fangosi dell’isola, muovendosi attorno alle chiese con occhi e orecchie tesi, come un cane da punta pronto ad avvertire ogni segnale di vita nella brughiera. Ma aveva intravisto solo profili sfumati di alberi e case, ascoltato il frusciare dei canneti nel vento: se voltava il capo, poteva notare il profondo solco dei suoi stivali nella terra umida e le aguzze sagome dei carciofi che spuntavano al di là dei recinti di filo spinato. Adesso il suo volto arrossato spiccava nella camera come un elemento estraneo, assente.

Avrebbero voluto, entrambi, tentare l’ultimo colloquio. Nei giorni passati il discorso atteso, talvolta addirittura preparato, si era trasformato in banale chiacchiericcio, in parole senza sostanza, destinate soltanto a riempire le lunghe pause dei silenzi e delle meditazioni. A lungo, e invano, Bernardo, se n’era chiesto le ragioni. Forse, pensava, non ci sono spiegazioni possibili. Altre volte, nella loro storia, c’erano state incomprensioni, diversità di giudizi, irritazioni, litigi anche. Il punto di partenza, nel giudicare o nel decidere, era diverso, e nasceva forse dal lungo tratto di storia che divideva le loro adolescenze. Ma ogni volta le disparità erano state superate con il ragionamento, con la pacata discussione. Ora invece era calato tra loro un pesante mutismo, segno di una irrevocabile chiusura.

E se fino a quel momento egli si era sentito indifferente, e non aveva fatto nulla per arginare la falla che si era andata allargando, di fronte a quella partenza si scopriva vuoto ed inerme. Della sua lontana giovinezza ricordava una fotografia: era su una deserta spiaggia di sabbia al braccio di una ragazza dai lunghi capelli biondi, e l’immagine non rappresentava un inizio, ma una fine. Quel giovane magro e stempiato, con il volto serio e segnato già dalla fatica di vivere, quella donna alta, dagli zigomi sporgenti e dall’ambiguo sorriso, erano insieme per l’ultima volta. Guardandola uscire dall’acqua, le lunghe gambe impacciate dalla rena umida, con il sole che ne stagliava limpidamente i contorni del corpo, aveva sentito l’abisso che divideva la prorompente vitalità di lei da quella ostinata autocommiserazione che, attizzata dalla timidezza, dai ricordi atroci degli anni appena trascorsi, lo spingeva verso l’isolamento. Era lui il ragazzo che stava seduto solo davanti al tavolino di ferro di una povera sala da ballo, con un bicchiere di vino aspro davanti a sé, mentre gli altri — gli amici — stringevano alla vita le ragazze al ritmo trito dell’orchestrina. Quello stesso stato d’animo si riaffacciava ora in lui, insieme allo smarrimento che sempre lo aveva colto alla conclusione di una storia, di un rapporto. <<Che cosa accadrà domani?>> si era chiesto in quei momenti.

<<Che cosa accadrà domani?>> ripeteva oggi dentro di sé, mentre Cristina ficcava con rabbia nella valigia i suoi indumenti, i barattoli delle creme. Era la stessa irritazione che aveva provato arrivando sola nell’isola e trovando unicamente un buio minaccioso e ostile. Era bastato però il volto di lui nell’oscurità, la cena nella grande cucina deserta, illuminata dai bagliori del fuoco, perché la speranza ritornasse, insieme al desiderio di una gioia che avrebbe dovuto continuare, perché nulla sembrava incrinarla. Poi tutto era precipitato e in questo momento, mentre gli chiedeva nervosa quando sarebbe partito il primo vaporetto, aveva solo voglia di fuggire, di lasciarsi ogni cosa alle spalle: l’isola che sembrava sommersa dal passato, e l’uomo che pareva ormai deciso ad affondare insieme alle ultime case, agli ultimi monumenti, in quelle paludi melmose. <<Chissà quante zanzare, d’estate>> pensò. E quel pensiero le appariva come l’estrema giustificazione del suo gesto. Sentiva il desiderio di strade affollate, di gente decisa a non lasciarsi travolgere. Lo stesso rumoroso e frastornante traffico della città l’attirava come un ambiente amico. Se le notizie quotidiane, quelle che leggeva sui giornali, non lasciavano speranza, e chiudevano il futuro come una diga costruita dall’accumularsi di piccoli fatti negativi, di ribellioni rientrate, di amari bocconi trangugiati con sempre più fioca resistenza, era sempre possibile pensare che qualcuno stava innescando la bomba destinata a far saltare quella barriera di grigiore e di monotonia. Così si poteva ancora tirare avanti, subendo il peggio in attesa del meglio.

Bernardo le aveva posato la mano sulla spalla, come per un estremo ammonimento. Avrebbe voluto, ancora una volta, tessere con pazienza le fila di un compromesso in grado di impedire la lacerazione, ma le parole gli sfuggivano. Scuoteva il capo, in un gesto forse destinato a impietosirla ma forse, anche, segno di un’accettata irrevocabilità. Non gli rimase che seguirla giù per la scala scricchiolante, e portarle la valigia mentre camminavano lentamente verso la banchina. Nuvole nere sbucavano all’orizzonte e il vento che si alzava in folate sempre più forti scompigliava i capelli di lei e sollevava onde minacciose contro gli argini dei canali. La grande motonave avanzava a fatica verso il molo. <<Tornerò presto anch’io>> mormorò Bernardo, baciandole la guancia. Cristina accennò un sorriso, due lacrime silenziose le scesero lungo il volto. Le asciugò con un gesto deciso della mano. Bernardo rimase a guardarla mentre si avviava sulla breve passerella di legno, aiutata dal marinaio. Non si voltò neppure, aprì con decisione la porta del salone e scomparve dietro i vetri velati dai quali si profilavano le sagome dei passeggeri.

La motonave fu lontana in un attimo, aprendosi la strada nel vento, tra i fischi rochi della sirena. Bernardo rimase fermo all’approdo, senza neppure agitare il braccio nell’ultimo saluto. Il terrore della solitudine svaniva via via che la nave spariva all’orizzonte. Sentiva, accanto a sé, una presenza che non lo aveva mai abbandonato, in quei giorni confusi e inquieti. Amabile Polani, nel suo cappotto nero, gli sorrideva con il volto scolpito di un’antica statua. Lo sguardo che gli lanciò era indefinibile: ironico o consolatore, freddo o invitante? Forse tutto questo insieme, tremula superficie d’un lago che invitava al bagno nelle sue acque limpide e pulite, ma che, sul fondo, nascondeva trappole d’alghe e di fango. E le raffiche, sempre più forti, agitavano i canneti, spazzavano l’isola con furibonda violenza.

 

Prefazione

Introduzione

Parte prima

1

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3

4

5

6

7

8

9

10

11

12

13

14

15

16

17

Parte seconda

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11

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13

Epilogo

Indice Ultimo degli Altinati

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