Capitolo 11

Parte Prima

 

 

 

 

 

 

Il telegramma era stato spedito, cominciava per Bernardo un periodo vuoto e difficile. L’attesa era per lui come una corposa esistenza, un impegno che impediva altri impegni. In città, quando aspettava una persona, non era in grado neppure di leggere un libro, o di vedere il più banale degli spettacoli televisivi: camminava avanti e indietro, si affacciava addirittura al pianerottolo per vedere se la spia rossa e verde dell’ascensore segnalava che la cabina era diretta verso il suo piano. I ritardi lo innervosivano come tradimenti e spesso un ospite, arrivando, lo trovava con un volto arcigno, l’atteggiamento ostile di chi cova dentro di sé un severo e giustificato rancore. Questa volta, poi, nulla era stato stabilito di preciso e il tempo dell’attendere era vago, non calcolabile in ore e minuti, ma in giorni. La pensione non aveva il telefono; era impossibile, quindi, ogni comunicazione diretta.

Se poi s’interrogava più profondamente di quanto non fosse stato solito fare negli ultimi tempi, egli si rendeva conto che c’era ben altro, nel peso di quell’attesa al suo inizio. Chiamando a sé la persona con la quale aveva diviso intensamente, e senza remore, due anni della propria vita, la donna con la quale il dialogo quotidiano non trovava argini, né conosceva cadute, aveva forse infranto una legge scritta su vecchie pietre, simile a quella di Mosè. Quel che stava vivendo, tra angosce ed esaltazioni, notti popolate d’immagini e giorni di trasognata assenza, faceva parte di una vicenda allucinata, fuori d’ogni credibilità. Chi avrebbe potuto entrare, come lui, nelle strette fessure che, invece di dividere due regni in opposizione, sembravano collegare la fantasia con la realtà? E quale comunicazione si sarebbe potuta instaurare tra le pallide ombre da cui era circondato e la realtà concreta di un corpo, di due occhi spalancati ma che non vedevano?

Lo stesso pomeriggio trascorso con Amabile Polani gli appariva, a poche ore di distanza, come la proiezione di un inconscio desiderio. I confini della realtà erano labili: la santa di legno era veramente uscita dalla sabbiosa cantina? E il telegramma era stato veramente spedito o l’impiegato con la voglia rosso fragola era uscito solo un attimo dall’oscurità per ingannarlo? Bernardo dovette aprire il portafoglio, estrarre la ricevuta scritta puntigliosamente con il pennino intinto nell’inchiostro nero, per rendersi conto che su quell’episodio non c’era possibilità di dubitare. Si trovò così, per porre freno a quel suo stato d’animo d’inquietudine, a riprendere la motonave che ogni ora faceva inversione di rotta lungo il canale per puntare di nuovo verso l’isola vicina. Il cielo, quella mattina, aveva perso il suo smalto azzurro, infranto dalla cavalcata delle nuvole. Un vento vigoroso investiva a folate le canne, piegandole, e frugava inquieto tra le foglie puntute dei carciofi. La marea s’era alzata capricciosamente e l’acqua dei canali inumidiva le pietre della strada. Pioveva, anche, con scrosci fitti e brevi che trapuntavano l’acqua sempre più grigia della laguna.

Le vie di Burano erano deserte, sotto la pioggia. Qualche ombrello nero ondeggiava, impazzito, tra le raffiche, dietro i vetri di qualche finestra le merlettaie erano chine sui fili aggrovigliati, figure imprecise dai capelli candidi. Bernardo si affacciò, grondante acqua, nel locale dove aveva trascorso il pomeriggio del giorno precedente: la penombra era densa, gli specchi rimandavano fugaci bagliori. Dal buio uscì improvviso il volto — o era solo la sua immaginazione? — della signora Polani. Era seduta allo stesso tavolo, con un uomo obeso che gesticolava al suo fianco. Le mani tozze creavano nell’aria strani ghirigori e si univano, ogni tanto, nel segno della preghiera. La donna non lo guardava, raccolta com’era nell’angolo della finestra. Sembrava avesse freddo, si stropicciava le guance pallide per ravvivare il flusso del sangue. Il giovane cameriere, apparso al suo fianco, posò sul tavolo la bottiglia di vino. Bernardo, che era rimasto immobile sulla soglia, non volle vedere altro. Aprì di nuovo la porta vetrata e uscì chiudendola furtivamente alle spalle. Era di nuovo all’aperto, nell’aria umida, sotto il monotono gocciolio d’una grondaia. La pioggia era cessata, fessure azzurre incrinavano la cappa plumbea del cielo. Rivoli di luce scaturirono, improvvisi, all’orizzonte, gigantesco faro d’una cattedrale che s’era innalzata tra cielo e mare.

Si fermò, questa volta, davanti a un’altra vetrata, al di là della quale, come proiettata su uno schermo smerigliato, una ragazza si stava pettinando. Vedeva la chioma sciolta, lunghissima e ondeggiante, e i colpi secchi e regolari del pettine che aprivano squarci tra i capelli. Una donna anziana aprì fragorosamente una finestra sopra di lui, al piano superiore, e sporse fuori il vecchio viso arcigno. Rimase a fissarlo fino a quando Bernardo si sentì dolorosamente trafitto dallo sguardo e si mosse, barcollando come un ubriaco. Non aveva fame. Due uomini intabarrati gli passarono accanto e una voce arrochita echeggiò al suo fianco: <<Dopo l’acqua ci vuole il vino>>. Li seguì soprappensiero e si trovò nell’animato salone di un’osteria, dove fumo e voci si mescolavano tra chiare pareti decorate da una striscia levigata di plastica azzurra.

Il vecchio Uso levò il volto rugoso verso di lui. Era seduto a un lungo tavolo con altri pescatori e gli fece cenno di sedersi. Bernardo si trovò davanti al piano di marmo e subito una mano pose un bicchiere davanti a lui. La scena era quella di sempre: dal bottiglione il vino sgorgò a garganella, traboccò quasi dall’orlo. Non gli rimase altro che afferrare il calice e portarlo alla bocca, dopo averlo levato in alto in una specie di silenzioso brindisi. <<Prosit>> disse Urso. E rivolto agli altri precisò: <<E’ un amico>>. Era una tavolata di vecchi: occhi persi nel vuoto, mani scarne che si agitavano, strette attorno ai bicchieri, rovesciando il vino sul tavolo. Uno dormiva placidamente, la bocca aperta sotto i baffi bianchi macchiati di tabacco, e nel sonno emetteva parole senza senso, imprecazioni o frasi scurrili, tra il riso appena accennato degli altri. Inermi, abbandonati dalla speranza: così Bernardo vedeva quegli uomini, le teste tremolanti agitate in un eterno no, una negazione alla vita e al futuro. Solo Urso sollevava con forza il suo bicchiere, solido e spavaldo.

Gli si fece vicino, spostando la sedia, e scostò bruscamente il vecchio addormentato che, per difendersi dall’intruso, sollevò la mano pallida segnata da un intrico di vene gonfie e palpitanti. Lo incalzava in silenzio, alzando la bottiglia e versando il vino appena il bicchiere rimaneva vuoto. Un vino acidulo, che Bernardo beveva con riluttanza. Ma ad un certo punto sentì di nuovo, come un palpito di gioia, il calore che scendeva giù per l’esofago, verso lo stomaco. Nel cervello si scioglievano, svaporando, i nodi terreni del dolore e dell’insicurezza. Non ci sono doveri, pensava, solo questo librarsi su una terra circondata dalle acque e fecondata dalle ombre dei ricordi. Fuori, intanto aveva ricominciato a piovere: gocce aguzze di metallo picchiavano ai vetri con violenza, decise a infrangerli e ad irrompere nella sala oscurata dal fumo denso delle pipe. Un diluvio universale che defluiva lento e gelido giù dai selciati, fino al grembo ampio e materno della laguna, mentre gli avventori, adesso, mangiavano focacce e sgranocchiavano mandorle salate.

Continuò a piovere fino a sera, quando Urso, intabarrato e malfermo sulle gambe, si avviò con Bernardo verso la motonave che per l’ennesima volta ricuciva le sponde delle due isole con il suo instancabile andare e venire. L’acqua ruscellava giù dal cappuccio di Bernardo mentre i due uomini, scesi sull’isola dopo il breve tragitto tra le acque fangose, avanzavano sui selciati deserti. Entrarono insieme nella locanda scuotendosi dai panni, sulla soglia, l’acqua che li inzuppava, e battendo al suolo le scarpe intrise di mota. Felicita Bono aveva preparato la polenta e cucinato il pesce con un denso sugo dolciastro. Ne offrì ai due uomini, e al marito, che era sceso per la cena. Ci fu ancora vino, ancora svaporate immagini, contorte illuminazioni dell’ubriachezza. I tre uomini cantarono insieme a lungo, fino a quando le voci arrochite si spensero. Adesso Bernardo si sentiva davvero uno dell’isola, e i suoi occhi fissavano, inumiditi, le braci semispente del camino e il fumo perlaceo che il vento ricacciava giù dalla cappa.

Prefazione

Introduzione

Parte prima

1

2

3

4

5

6

7

8

9

10

11

12

13

14

15

16

17

Parte seconda

1

2

3

4

5

6

7

8

9

10

11

12

13

Epilogo

Indice Ultimo degli Altinati

Home Franco De Poli